Distiller's corner / Tecnica e produzione

Rame: necessità o retaggio storico?

Samuel Cesana

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1 Giugno 2021

È inutile girarci intorno, quando entriamo in una distilleria diventiamo come dei bambini in gita al luna park, perdendoci tra centinaia di tubi e valvole e cercando con lo sguardo una sola cosa: l’alambicco.

Il fascino di un materiale ‘antico’ come il rame da al distillatore un’aura mistica, ricordando più delle misteriose pratiche alchemiche che non dei moderni processi produttivi di bevande alcoliche.

L’industrializzazione e l’evoluzione dei materiali sembrano infatti non aver coinvolto il mondo della distillazione, che continua ad affidarsi ad alambicchi di rame nonostante il costante aumento dei prezzi negli ultimi anni, impennatisi ulteriormente durante l’emergenza Covid-19. Il motivo va attribuito alle proprietà chimiche del rame che, durante la fase di distillazione, riduce sensibilmente la presenza di idrogeno solforato, disolfuro e mercaptani (e derivati), sostanze i cui precursori chimici sono da ricercare nelle materie prime ma che si formano solitamente in fermentazione e sono responsabili dei cattivi aromi comunemente associati a fiammiferi, uova marce, verdura cotta, aglio e brodo.

Durante la distillazione, queste sostanze entrano in contatto con il rame formando il solfato di rame, rimuovendo lo zolfo e i suoi derivati dal distillato. È infatti dopo aver compreso questa caratteristica che i produttori hanno iniziato a ricercare sempre più contatto tra i vapori di distillazione e le pareti interne dell’alambicco, progettando articolati profili dei deflemmatori, ideati per massimizzare il riflusso, o efficenti condensatori shell and tubes che, sostituendo i vecchi worm tub, aumentano notevolmente la superficie di contatto con il rame, per dare come risultato un distillato più leggero e pulito.

Se il rame è fondamentale per la rimozione delle componenti sulfuree dal nostro distillato, a cosa è dovuta invece la formazione di questi composti?

Questa è la domanda che invita a porci Odin, founder dell’innovativa iStill che si è distinta negli ultimi anni per la produzione di alambicchi in acciaio inossidabile, semi-automatizzati e altamente tecnologici, servendo oltre 800 distillerie nei suoi primi 8 anni di vita. Nell’intervista concessa a CraftDistilling, l’olandese spiega come la tecnologia di produzione del whisky sia progredita in tutti i processi ad eccezione della fermentazione che, ancora oggi, viene effettuata in grossi tini aperti di acciaio o legno e senza alcun controllo della temperatura. L’enorme mole dei fermentatori provoca una disomogenea distribuzione del calore e un maggiore stress dei lieviti, incentivando la produzione dei composti sulfurei e la formazione di vari composti maleodoranti.

COPPER IS MEDICINE FOR A BAD FERMENT!
Odin Van Eijk, iStill founder

Un corretto controllo dei parametri di fermentazione, la temperatura su tutti, minimizza la formazione delle suddette sostanze e rende del tutto superfluo l’utilizzo del rame in distillazione, sostiene Odin, sottolineando anche i difetti legati all’utilizzo di questo metallo. La difficile pulizia richiede molte ore di lavoro e la rapida corrosione aumenta i costi di manutenzione oltre che a rilasciare ossido di rame, potenzialmente dannoso per la salute se non rimosso.

Costruendo alambicchi di acciaio inossidabile iStill mira ad aggirare questi problemi introducendo anche dei comodi «pancake» di rame da inserire nel distillatore, da utilizzare in caso di fermentazioni non pulite o per la distillazione diretta di materie prime in pentola.

Può una migliore tecnologia e un maggiore controllo su materie prime e fermentato rendere gli alambicchi di rame obsoleti? Oppure il rame nasconde ulteriori proprietà fondamentali per una buona produzione di distillati?

Il confronto è solo all’inizio.

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